Co’ quer nome, giusto er macellaro potevi fa’…

Oggi voglio regalarvi un articolo rapido e spensierato che nasce da un incontro che ho avuto con due foodblogger: Luca Sessa di “Per un pugno di capperi” e Silvia De Leonardis di “Acqua e farina-sississima“.

Chiacchierando del food blogging in generale, Luca mi ha dato uno spunto interessantissimo: nonostante la cucina attuale vada verso ricette sempre più ricercate e, talvolta, astruse, le ricette più cercate sui motori di ricerca e sui blog di cucina sono quelle più semplici.

La pasta alla gricia, la cotoletta panata, la pasta cacio e pepe: piatti della tradizione culinaria italiana che, però, sembrano essere finiti nel dimenticatoio per far posto a ricette come il flan di topinambur e chips croccanti o la millefoglie destrutturata.

Quindi l’articolo di oggi avrà come argomento la semplicità e soprattutto la corrispondenza tra alcuni piatti della cucina romana (di cui si occupa SIlvia nel suo blog) e le parti anatomiche che li compongono.

A gennaio avevamo già parlato del muscolo psoas in questo articolo. Lo psoas altro non è che il filetto: il taglio più richiesto e, per alcuni, più pregiato del bovino.

Adesso vediamo altre leccornie!

Stinco e ossobuco, ad esempio, sono la stessa cosa: solo che il primo è intero ed il secondo è a fette. Erroneamente si ritiene che l’ossobuco sia una vertebra e quindi che il midollo gustosissimo che si trova nell’osso sia il midollo spinale. In realtà, l’ossobuco è ottenuto tagliando a fette, appunto, lo stinco che è il corrispettivo della nostra gamba (attenzione! per gamba, in anatomia si intende la parte di arto inferiore compresa tra ginocchio e caviglia). Quindi il midollo che gustiamo nell’ossobuco magari vicino ad un buon risotto allo zafferano è il midollo osseo!

Andiamo ora a cose più caratteristiche…come la trippa e la romanissima pagliata.

In modo molto generico e vago, la trippa viene definita come “lo stomaco del bovino”.

In realtà, se avete qualche reminiscenza delle lezioni di scienze delle elementari, ricorderete che i ruminanti hanno ben più di uno stomaco. Ne hanno addirittura quattro: rumine, reticolo, omaso e abomaso. Non entrerò nello specifico, ma vi dico solo che ognuna di queste quattro parti ha una caratteristica specifica e un sapore differente.

Della pagliata (o come si dice in romanesco “pajata”) spesso si dice un’altra cosa non molto “educata”.

La pagliata è l’intestino tenue del vitellino da latte che viene utilizzato dopo averlo pulito ma senza rimuovere del tutto il contenuto.

In realtà, è nel colon che avviene la trasformazione in…beh, avete capito.

Quindi, quando mangiate dei rigatoni con la pajata state tranquilli: non è….ehm…vabbè, avete capito, no?

Ci sono poi i rognoni (ossia i reni), i nervetti (tendini e cartilagini dello stinco bovino), le animelle (la ghiandola che nell’uomo corrisponde al timo), la coratella (insieme di cuore, fegato, polmone, milza, reni e mammella).

Il fegato non credo abbia bisogno di spiegazioni, così come la testina, il cervello e la coda!

Beh? Siete perplessi? Smetterete di mangiare interiora e diventerete tutti vegetariani?

Spero di avervi dato qualche informazione succulenta: chissà, forse guarderete in modo diverso il banco del macellaio la prossima volta che farete la spesa!

Il titolo di oggi è un’altra citazione al film culto “Febbre da Cavallo“, già citato nell’articolo del 28 gennaio

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