Somato…tipi da spiaggia

Avanti! Tutti su Wikipedia a cercare cosa significa “somatotipo“…per i più pigri, basta cliccare qui

Oggi Scrocknroll vi parla dell’importanza delle biotipologie nell’approccio osteopatico.

Innanzitutto cerchiamo di capire cosa si intende per “somatotipo“.

Questa parola è stata coniata da William Herbert Sheldon, un medico e psicologo statunitense.

Sheldon sosteneva che l’essere umano poteva essere classificato in base al contributo che i foglietti embrionali avevano dato nella formazione dell’organismo: l’endoderma (dal quale originano l’apparato digestivo e quello respiratorio), il mesoderma (dal quale originano il muscolo scheletrico, il tessuto connettivale e il cuore) e l’ectoderma (dal quale originano pelle e sistema nervoso).

In base alla predominanza di uno dei tre foglietti embrionali, secondo Sheldon, si può distinguere una predominanza che avrà ripercussioni fisiologiche, fisiche e psichiche.

Vediamo rapidamente i tre somatotipi individuati da Sheldon e poi cercheremo di capire come si modificherà l’approccio osteopatico.

 

Nella miglior tradizione di Scrocknroll, cerchiamo di fare tre esempi chiarificatori:

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il primo somatotipo è il MESOMORFO: forte, compatto, spalle larghe, fianchi stretti. Adatto all’attività fisica e alla crescita muscolare rapida. La postura è diritta. Avrà un carattere attivo, competitivo, dominante.

Il secondo somatotipo è l’ECTOMORFO: longilineo, con arti lunghi e bassissimi livelli di grasso corporeo. Sarà caratterizzato da un metabolismo iperattivo, da un difficoltoso accumulo di grasso e da una difficoltosa crescita muscolare. L’ectomorfo sarà un introverso, un timido, un razionale.

L’ultimo è l’ENDOMORFO: dal punto di vista fisico, l’aspetto sarà caratterizzato da forme “tondeggianti”, ossatura robusta, accumulo adiposo nella parte superiore del corpo. Avrà facilità di crescita muscolare, maggiori capacità digestive e metabolismo lento. Caratterialmente sarà un tipo emotivo, socievole, estroverso e rilassato.

 

 

Adesso facciamo una pausa e cogliamo l’occasione per un chiarimento FON-DA-MEN-TA-LE:

QUESTE TRE CLASSIFICAZIONI NON SONO UNA LEGGE INEVITABILE!

ciononostante, sono classificazioni che aiutano l’operatore ad indirizzare meglio il proprio gesto, anche in base a tendenze psicosomatiche.

Per dovere di cronaca, qui di seguito trovate una precisazione fondamentale che ho trovato nella pagina di wikipedia che riguarda i somatotipi

 

Per quanto un individuo possa essere inquadrato in un somatotipo in termini morfologici e costituzionali,almeno in parte con quanto è stato descritto, esso non è di conseguenza associabile a tali caratteristiche di temperamento

È ovvio e normale che ci saranno soggetti tendenti al sovrappeso che saranno introversi e soggetti iperattivi che saranno anche dei compagnoni!

 

E ora? Come cambia l’approccio rispetto al somatotipo?

Innanzitutto, il somatotipo ci fornisce una informazione sul “terreno” (o sulle predisposizioni) di chi abbiamo davanti.

L’endomorfo avrà maggiori possibilità di sviluppare disturbi gastrointestinali e la sua tendenza all’accumulo di adipe lo potrà rendere soggetto a problematiche circolatorie.

L’ectomorfo, al contrario, avrà difficoltà legate ad un metabolismo eccessivamente accelerato.

Nell’ambito quotidiano dell’osteopata, un soggetto attivo, che fa mille cose e che ha una problematica di spalla ci “chiederà” un approccio più diretto, con il quale risolvere la situazione in modo rapido.

Al contrario, una persona che tende all’endomorfo, pur necessitando di una sorta di “scossone”, verrà trattato in modo più cadenzato nel tempo: si otterrà lo stesso effetto in un numero di trattamenti tali da non rendere traumatico l’effetto.

Concludo ricordandovi che l’osteopatia non è un approccio preconfezionato da acquistare in un kit universale.

L’osteopatia osserva, studia, testa e adatta OGNI tecnica ad OGNI persona.

Il circolo vizioso

 

Non siate maliziosi…
Oggi Scrocknroll vi spiega uno dei principi di trattamento dell’osteopatia: la rottura dei circoli viziosi.

Ma cosa è un circolo vizioso in osteopatia?

Vi ricordate questa filastrocca senza fine?

C’era una volta un re

seduto sul sofà

che disse alla sua serva

“Raccontami una storia”

e la serva incominciò:”C’era una volta

un Re seduto su un sofà…”

 

Questa breve cantilena potrebbe andare avanti per ore. Fin quando non si fa dire una cosa diversa alla serva!

La stessa cosa avviene nel nostro corpo.

Per spiegare meglio questa cosa, utilizzerò gli schemi di Glenard.

Frantz Glenard era un medico francese che studiò la relazione tra la ptosi (discesa) degli organi addominali e la struttura circostante.

Prendiamo come esempio lo schema di Glenard che riguarda una disfunzione del fegato.

Ecco un’immagine che mette in evidenza i rapporti tra fegato, vertebre e gabbia toracica

 

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Un fegato affaticato metterà in difficoltà il diaframma (il fegato è tenuto dal diaframma attraverso dei legamenti molto tenaci). La respirazione sarà eseguita in modo asimmetrico e a livello delle vertebre dorsali si avrà una disfunzione (riduzione della normale mobilità).

Una modificazione dorsale avrà conseguenze sia a monte (zona cervicodorsale) che a valle (dolori dorsali bassi).

L’anello si chiude nel momento in cui l’intero sistema riduce la sua mobilità e continua a mettere in difficoltà il fegato.

Vi è venuto mal di testa?

Non ancora?

Allora arriviamo al punto: l’osteopatia cerca di interrompere questo circolo vizioso agendo su vari livelli, ma soprattutto cercando il motivo iniziale di tutta questa serie di scompensi.

Nel caso del fegato si lavorerà in modo specifico sul fegato, sul diaframma e sulla struttura ossea dorsale (vertebre e coste). In questo modo si ridurrà la causa “primaria” (l’affaticamento del fegato) e si lavoreranno le zone “secondarie”.

È più chiaro il circolo vizioso?

O volete un’altra filastrocca?

A: Dove vai?

B: Al cinema.

A: A vedere cosa? .

B: Quo vadis?

A: E che vuole dire?

A: Dove vai?

B. Al cinema.

 

Crociati!

Mettete a posto i libri di storia: i crociati di cui parliamo oggi non sono quelli guidati da Goffredo da Buglione, ma quelli che stanno dentro alle nostre ginocchia.

I legamenti crociati sono più diffusi di Lady Gaga e di Brad Pitt: pensate che ne abbiamo quattro a testa!

Alla domanda “dove stanno?” possiamo rispondere in modo rapido con un’immagine

 

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Se invece la vostra curiosità è ” a cosa servono”, allora Scrocknroll si rimbocca le maniche e ve lo spiega in modo facile facile.

In biomeccanica, la funzione dei legamenti crociati (anteriore e posteriore) è di funzionare come “freni di fine corsa”: ovvero, servono a limitare lo slittamento posteriore ed anteriore della tibia rispetto al femore, soprattutto nelle sollecitazioni improvvise.

L’esempio che vi porto è abbastanza grossolano, ma serve a capire questa funzione di “controllo” a fine corsa.

Immaginiamo i bloccaporta: il loro scopo è quello di evitare che una porta, con un colpo di vento improvviso, sbatta contro il muro o si chiuda di colpo.

 

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In un modo simile (ma vi ricordo che oggi vi porto un esempio molto sui generis), i legamenti crociati controllano e stabilizzano i movimenti del ginocchio.

Ovviamente, quando i cambi di direzione o i movimenti sono eccessivamente o se ci sono traumi diretti sul ginocchio bruschi, i legamenti crociati si “arrendono” e si rompono.

Mi fa piacere ricordare che lo spunto per questo articolo è venuto dal mio collega Vigliano De Cupis, responsabile del Medical Sangallo di Anzio.

I crociati del Medical Sangallo!

 

Attenti ai dischi!

Oggi parliamo di dischi.

Non di quelli in vinile (chi se li ricorda?) e nemmeno di quelli volanti.

Oggi parliamo di dischi intervertebrali.

Nel primo articolo, Scrocknroll aveva cercato di spiegarvi la differenza tra protrusione ed ernia.

Questa volta, invece, vedremo con un esperimento casalingo come funziona normalmente un disco intervertebrale e cosa accade quando viene sottoposto a stress meccanici.

Il disco intervertebrale è compreso, appunto, tra due vertebre.

Nel corso della nostra vita quotidiana il disco riceve e cede liquido interstiziale.

Immaginiamo una spugna che viene schiacciata e rilasciata.

Quando la schiacciamo, la spugna cede acqua.

Quando la rilasciamo, la spugna assorbe acqua.

 

 

Se questo meccanismo avviene in modo fisiologico, il disco (o la spugna, fate voi) mantiene le proprie capacità elastiche e di ammortizzazione.

Ma cosa succede se il disco viene compresso troppo forte e per troppo tempo?

Torniamo sempre alla nostra spugna e immaginiamo cosa succede ad una spugna strizzata e lasciata da una parte per qualche giorno.

La spugna si secca e perde le sue capacità elastiche: si romperà più facilmente, impiegherà più tempo a riassorbire acqua, perderà parte della sua capacità assorbente.

La stessa cosa accade al disco intervertebrale. Se gli stress meccanici e posturali sono eccessivi e prolungati nel tempo, il disco perderà man mano le sue proprietà e sarà più soggetto a danni.

Ora voi mi domanderete:”che cosa dobbiamo fare per evitare che le nostre spugnette intervertebrali si possano rovinare?”

Eccovi un piccolo elenco di modi per evitare uno stress sui dischi:

– cerchiamo di migliorare/variare la nostra postura (sia seduti che in piedi)

– sforziamoci di ridurre il sovrappeso

– facciamo attività fisica con buonsenso

Insomma, con un po’ di buonsenso e un pizzico di buona volontà, i nostri dischi intervertebrali avranno lunga vita.

…e pure le spugnette.